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Ugo Maiorano
quando la tammorra diventa una scelta di vita
"La Vita è Bella perchè si balla"
( Nando Citarella )
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La Candelora

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Pubblicato da Ugo Maiorano in Musica della Tradizione · Domenica 09 Feb 2025 · Tempo di lettura 9:00
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Ogni anno, il 2 febbraio, il Santuario di Montevergine, situato sul Monte Partenio in provincia di Avellino, si anima per la festa della Candelora, una celebrazione che unisce la tradizione cristiana a riti precristiani e antiche credenze popolari, trasformandosi nel tempo in un simbolo di inclusione e accoglienza, in particolare per la comunità LGBT+. Questa festa, tanto spirituale quanto identitaria, rappresenta uno dei momenti più sentiti del culto alla Madonna di Montevergine, la cosiddetta Madonna Nera, conosciuta dai devoti come “Mamma Schiavona”.
Le origini della Candelora risalgono a tempi remoti, ben precedenti al cristianesimo. Si ritiene che la festa derivi da antichi riti pagani legati al culto della dea Cibele, divinità madre della fertilità e della natura, venerata nei territori dell’Asia Minore e poi nell’Impero romano. Durante i riti in suo onore si celebrava il ritorno della luce e l’avvicinarsi della primavera, attraverso cerimonie di purificazione e accensione di torce o candele. Altri studiosi collegano invece la festa alla tradizione ebraica della purificazione: secondo la legge mosaica, una donna che avesse partorito un figlio maschio era considerata impura per quaranta giorni, al termine dei quali doveva recarsi al Tempio per essere purificata.
Con l’avvento del cristianesimo, queste usanze furono reinterpretate dalla Chiesa cattolica, che fissò la festa della Presentazione di Gesù al Tempio e della Purificazione di Maria proprio quaranta giorni dopo il Natale, cioè il 2 febbraio. Da questa sovrapposizione nacque la Candelora, il cui nome deriva dal rito della benedizione delle candele, simbolo di Cristo “luce per illuminare le genti”. La luce delle candele, accesa in pieno inverno, rappresenta la vittoria del calore e della vita sulle tenebre e sul gelo, un tema che si intreccia profondamente con il ciclo della natura e con il significato di rinascita spirituale.
A Montevergine, tuttavia, la Candelora ha assunto un carattere unico e fortemente identitario, legato alla leggenda di Mamma Schiavona e al pellegrinaggio dei cosiddetti “femminielli”. Secondo la tradizione popolare, nel 1256 due giovani uomini, scoperti nella loro relazione amorosa, furono condannati dalla comunità e incatenati sul Monte Partenio come punizione per il loro amore considerato “contro natura”. Destinati a morire assiderati, furono invece salvati dalla Madonna di Montevergine, che, mossa a compassione, avrebbe irradiato una luce calda e potente capace di sciogliere le catene e riscaldare i corpi dei due ragazzi, restituendo loro la vita.
Questo miracolo, tramandato oralmente per secoli, ha reso Mamma Schiavona una figura materna e accogliente, protettrice degli ultimi, dei reietti e di chiunque si senta escluso. La Madonna Nera, così chiamata per il colore scuro del suo volto, è simbolo di accoglienza universale: non giudica, non discrimina, ma abbraccia tutti, come una madre che offre rifugio e comprensione. La sua immagine, posta nel santuario a 1270 metri d’altitudine, è meta di pellegrinaggi da tutta la Campania e dal Sud Italia, e rappresenta da secoli un punto d’incontro tra sacro e profano, fede e identità, tradizione e libertà.
Durante la Candelora, migliaia di fedeli si mettono in cammino per la cosiddetta “Juta dei Femminielli” – in dialetto napoletano “juta” significa “salita” o “andata” – un pellegrinaggio che da Napoli e dai paesi limitrofi conduce fino al santuario. I femminielli, figure storiche e rispettate della cultura popolare napoletana, rappresentano un’identità di genere fluida e arcaica, che precede di molto le definizioni moderne dell’identità queer. Il loro pellegrinaggio è un atto di fede e di festa insieme: danze, tamburelli, canti devozionali e invocazioni alla Madonna si mescolano a momenti di preghiera e raccoglimento, in un clima che fonde il fervore religioso con la gioia popolare.
Oltre alla Candelora, Montevergine è protagonista di un’altra importante celebrazione: la grande festa del 12 settembre, giornata dedicata a Maria Santissima di Montevergine. In questa occasione si svolge un’altra “Juta”, profondamente radicata nella tradizione contadina e pastorale dell’Irpinia. Storicamente, i pellegrini che salivano verso il santuario si fermavano a Ospedaletto d’Alpinolo, un suggestivo paesino situato a metà strada tra Avellino e Montevergine. Qui, alla vigilia del 12 settembre, uomini e donne, con i propri muli e cavalli, sostavano per rifocillarsi, riposare e prepararsi all’ultimo tratto della salita, che affrontavano il mattino seguente per partecipare alla solenne celebrazione dedicata alla Madonna.
Questa antica sosta, divenuta col tempo un vero e proprio evento comunitario, è oggi ricordata come la “Juta di Ospedaletto”, un momento in cui devozione, tradizione e folklore si intrecciano in un’atmosfera di grande intensità. Le vie del borgo si riempiono di suoni, colori, canti popolari, prodotti tipici e rievocazioni storiche: un tributo alla fede dei pellegrini di un tempo e alla forza delle radici irpine.
La figura di Mamma Schiavona è legata anche a una delle leggende più affascinanti del folklore campano: quella delle Sette Sorelle, o Sette Madonne, raccolta e tramandata dal Maestro Roberto De Simone. Secondo questa antica narrazione, la Madonna di Montevergine non è sola: ha sei sorelle, venerate in altri santuari della Campania. Le sette sorelle sono la Madonna di Montevergine, la Madonna dell’Arco (a Sant’Anastasia), la Madonna delle Galline (a Pagani), la Madonna di Castello (a Somma Vesuviana), la Madonna dei Bagni (a Scafati), la Madonna dell’Avvocata (a Maiori) e la Madonna di Materdomini (a Nocera Superiore).
Ogni Madonna ha un suo carattere, un suo popolo e un suo modo di essere festeggiata. La Madonna dell’Arco, venerata il Lunedì in Albis, è la più potente e popolare: la sua festa è segnata dai “battenti”, devoti che si flagellano per penitenza, e da processioni che mescolano misticismo, musica e trance. La Madonna delle Galline, invece, è la più gioiosa: durante la sua festa, a Pagani, le donne e gli uomini danzano la tammurriata, mentre le galline, simbolo di rinascita e abbondanza, si muovono libere tra i fedeli. La Madonna di Castello di Somma Vesuviana è la sorella del fuoco e del vulcano, protettrice delle genti vesuviane; la Madonna dei Bagni di Scafati è la sorella dell’acqua, venerata per le sue presunte proprietà miracolose e taumaturgiche; la Madonna dell’Avvocata, che domina la Costiera Amalfitana dal Monte Falerzio, è la sorella del mare e dei pescatori, la protettrice delle acque e dei venti; infine, la Madonna di Materdomini di Nocera Superiore è la più antica e materna, custode dei cicli della fertilità e della rinascita.
Tra tutte, però, la Madonna di Montevergine è la più solitaria. Vive sulla montagna, lontana dal mare e dalle città. Si racconta che, nei giorni di tempesta, il vento che fischia tra i boschi del Monte Partenio sia la sua voce malinconica che chiama le sorelle, cercando conforto. Un tempo, si diceva che fosse la più brutta delle sette sorelle, perché aveva il volto scuro, annerito dal fumo dei ceri e dal tempo. Ma col passare dei secoli, la sua diversità si è trasformata in luce: quella che un tempo veniva ritenuta la più brutta, si è rivelata la più bella, la più misericordiosa, la più amata. La sua bellezza è quella dell’anima, della maternità che consola, dell’amore che non conosce confini.
Così Mamma Schiavona, la Madonna Nera, è diventata simbolo di tutte le diversità e della bellezza che nasce dal dolore e dalla compassione. La sua luce, che brilla nel buio del Monte Partenio, è quella che unisce le sette sorelle in un abbraccio eterno, che attraversa monti, vallate e mari.
E nella tradizione più profonda, come racconta De Simone, le Sette Madonne non sono che i volti diversi della Madre Terra, la Grande Madre che scandisce il ritmo delle stagioni, che muore e rinasce ogni anno, che accoglie e nutre. A Montevergine, la Madre è Nera come la terra fertile e come il grembo che genera la vita; a Pagani è luminosa e festosa come la primavera; a Maiori soffia con i venti del mare; a Somma arde con il fuoco del Vesuvio; a Nocera e a Scafati sgorga con l’acqua delle fonti; a Sant’Anastasia vibra con i canti e le tammorre che invocano la rinascita.
In ciascuna di loro vive un frammento dell’antico culto della Dea, sopravvissuto nel cristianesimo popolare come un canto che non si è mai spento. E forse, quando le tammorre risuonano nella notte della Candelora o durante la Juta di settembre, è la voce delle sette sorelle che ancora si risveglia, danzando tra fede, mito e memoria, per ricordare a tutti che la vera luce non abbaglia: illumina chi è nel buio e riscalda chi ha freddo.


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