Ugo Maiorano
quando la tammorra diventa una scelta di vita
"A Vita è bella pecchè s'abball"
( Nando Citarella )
ugomaiorano.it
Vai ai contenuti

Madonna di Montevergine

Le Sette Madonne
Madonna di Montevergine
Monti del Paternio -Mercogliano (AV)
Madonna di Montevergine
Canti popolari per la Madonna di Montevergine

Da qui  all'Eternità

La Vita è un Viaggio, un Passaggio, un Andare verso. E la meta è uno dei Misteri dell'Esistere. Oscuri. Intriganti. Forse insolubili. Ogni società ha posto questo interrogativo: dove va la Vita dell'Uomo? Per l'uomo antico il viaggio era diretto verso il campo di battaglia o era quello di ritorno (il nostos) verso la propria patria. Gli uomini del nostro tempo hanno scoperto la ricognizione all'interno del proprio Io.
E poi c'è un altro viaggio, o meglio un viaggio "altro". Arcaico e tradizionale. Anzi ancestrale e archetipale. E' il cammino del pellegrinaggio. Lo fa il credente, ma anche colui che colui che cerca dei "segni". E nel pellegrinaggio, canonicamente ripetuto, egli "rinnova" l'interiorizzazione delle regole del comportarsi verso gli altri e dell'atteggiamento verso il Divino.
Una delle mete più frequentate dai devoti campani e, in particolare, sarnesi  è quella del Santuario della Madonna di Montevergine, situato sul massiccio montuoso del Partenio, ad un'altezza di 1270 metri. Durante il mese di settembre   tradizionale è infatti, nelle abitudini di larghi strati della popolazione, il pellegrinaggio a Montevergine, che negli ultimi anni sta conoscendo un'intensificazione inaspettatata.  Questa meta di devozione conferma così il suo ruolo storico, che la vuole come il primo luogo di culto, dedicato a Maria, che esercitò fin  dall'epoca medievale un fortissimo richiamo per i pellegrini  in un'ampia area geografica.  
Infatti nel 685, San Vitaliano, Vescovo di Capua, scoprì su questo monte i ruderi di un tempio pagano, al cui posto fece costruire una prima Chiesa in onore di Maria. L'ampliamento del tempio fu poi opera di San Guglielmo da Vercelli (1085-1142); e a lui si deve l'iniziale diffusione della devozione alla Madonna di Montevergine, che è attestata già durante la vita del Santo, come testimonia un documento del 1139.
In onore della Madonna di Montevergine vengono intonati durante il pellegrinaggio dei canti popolari toccanti e suggestivi, che sono  eseguiti anche dai  fedeli sarnesi nelle date canoniche dell'8 e del 12 settembre, durante l'ascesa allla Chiesa di S. Matteo, dove si  conserva un'effigie  appunto della Madonna di Montevergine.
 Il primo elemento che va chiarito  di questi  testi  è l'espressione Mamma Schiavona. Se teniamo presente che in dialetto napoletano il termine "schiavo" significa "scuro di pelle", emerge subito l'importanza che i fedeli danno al colore del volto della Vergine. Infatti l'effigie  raffigura una Madonna nera, sulla quale infatti sovrasta la scritta   Nigra   et formosa  es, amica mea, parafrasi di una famosa espressione riportata nel Cantico dei Cantici . Il culto delle Vergini nere, come ha dimostrato Bianca Capone, risale appunto ai secc. XII-XIII e rappresenta l'immagine concreta del principio femminile universale.
Perché proprio il colore nero? Ma perché nella storia  delle religioni mondiali la sostanza nera  (identificabile in genere in un misterioso "oggetto" di pietra  o avente caratteristiche vegetali) rappresenta il principio della Materia prima  che si trova nelle viscere della Terra. E la Vergine  (Materia prima/ Madre per eccellenza) incarna  -al livello più alto e pregnante-  l'Archetipo della fondazione dell'Esistere.        
Un altro elemento che viene continuamente esaltato nei canti è un particolare del volto della Vergine, che ha un fascino arcano a cui è difficile sottrarsi: gli occhi. "Che bell'uocchie ca tene 'a Maronna/ che me pareno doj e  stelle": in tal senso davvero l'incontro fra il fedele e Maria è, prima che un incontro di anime, un incontro di occhi.
Un terzo elemento è la richiesta alla Vergine di consentire l'accesso alla zona sacra, mediante l'apertura del "portone". "O Maronna mia Shiavona/ vienim' arape stu portone./ E si nun me lo vuò rapì/ Maronna mia famme murì." Questi versi assommano in sé tutto il senso dell'esistenza vista come Viaggio e come proiezione verso una dimensione meta-storica: questo portone rappresenta -come ha sostenuto, per casi similari,  Paolo Apolito- la Porta degli Inferi.
Questa però non va vista come simbolo di annientamento, ma di salvezza. Essa salva nell'Aldiquà: la Madonna, come recita un altro canto famoso, salva un giovane dall'accusa di aver ucciso un uomo attraverso una lettera (elemento di mediazione e di "passaggio") caduta miracolosamente dal cielo. Ma soprattuto salva in riferimento all'Aldilà: "E si nu ci virimmo ca/ nci virimmo all'Eternita`": così concludono  i fedeli accomitandosi dalla Vergine
In tal modo, affrontando un tremendo viaggio del corpo e della mente  -che nel caso della festa sarnese è simboleggiato dalle Rampe di Terravecchia peraltro punteggiate, a mo' di  Via  Crucis,  ad ogni curva da un'edicola con la Croce- i devoti ascendono verso lo spazio socializzato e protetto. Verso la Casa dell'Eternità, dove trionfa l'impulso alla Rinascita di tutto ciò che si agita sotto l'aerea volta del Mondo.

Ugo Maiorano
Tutti i diritti sono riservati
Torna ai contenuti