Eros e tammorra
Pubblicato da Raffaele Di Matteo in Tammorra Felix · 18 Novembre 2019
Presentazione-Evento
Eros e tammorra
Il secondo volume della trilogia “L’inCANTO della Tammorra”,
un testo originale e affascinante
Presentazione-spettacolo di grandissima suggestione quella del libro Eros e Tammorra (edizioni Buonaiuto - Progetto Mediavox/Associazione Tammorra felix), scritto da Franco Salerno, da Ugo Maiorano e da Viridiana Myriam Salerno. L’Evento, svoltosi a Sarno a Villa Lanzara il 19 settembre, è stato inserito nella prestigiosa Rassegna “Settembre Libri”, voluta e organizzata dall’Amministrazione Comunale e, in particolare, dal Sindaco dott. Giuseppe Canfora, dall’Assessore alla Cultura Prof. Vincenzo Salerno, dall’Assessore Spettacolo ed Eventi Prof.ssa Annamaria Della Porta e dall’Assessore al Turismo Dott.ssa Stefania Pappacena.
Il volume è il secondo tassello della Trilogia “L’inCANTO della tammorra”. Esso cerca di scoprire i sottili legami fra questo strumento antichissimo e il più ancestrale dei sentimenti umani: l’Amore. Gli Autori hanno reperito un fitto corpus di canti popolari, raggruppandoli in tre sezioni: “Canti di amore e desiderio”, “Canti di amore e morte” e “Canti di amore, maledizioni e incantesimi”. L’area geografica comprende la Campania, la Calabria, la Puglia e la Sicilia. Tra le novità del libro, a livello antropologico, vi è la scoperta dei rapporti fra la cultura della Tammorra e il mito platonico di Eros (Amore). Questo personaggio è, per Platone, un dèmone (“dàimon”), cioè un essere intermedio (“tì metaxù”) fra l’uomo e gli dei. La funzione di tali creature (secondo il mito, essi erano i figli nati dalla congiunzione fra dèi e ninfe o altre donne) era quella di unire le due sfere del Divino e dell’Umano, di colmare il distacco che le separa e di dare all’universo il senso dell’unità e della coesione suprema.
La serata, introdotta da Viridiana Myriam Salerno, è iniziata con uno splendido esempio di musica folk (“Bella figliola ca te chiamme Rosa”), eseguito dall’eccezionale Maestro Ugo Maiorano e dagli altri eccellenti Maestri Salvatore De Vivo, Massimo Maiorano, Nicoletta Morroni, Francesco Pecoraro, Antonio Senatore e Rocco Zambrano, a cui ha fatto da splendido pendant coreutico la coinvolgente danzatrice Tanya Maiorano. Ad essi si è collagata la profonda e avvincente interpretazione condotta da Franco Salerno, che, tra l’altro, ha rintracciato i sottili legami fra le tesi platoniche e le coordinate culturali dei testi, che rivelano un amore duplice e cangiante, “intermedio” tra gioia e dolore, sul filo dell’Aldiquà e dell’Aldilà. Protagonista della serata: la tammorra, grazie al quale il folto e attento pubblico ha captato il pulsare del sangue, i battiti del cuore, la forza della passione della gente del Mediterraneo e del Meridione.
Strazianti alcuni canti, come "Mamma, mamma, ca ne voglio murire”). L’innamorato, pronto a morire per la propria donna, chiede alla madre di fornirgli uno strano pranzo per l’ultimo viaggio: "Mamma, mamma, ca ne voglio murire,/ famme 'nu tavutiello de ricotta./ Pe' cusciniello 'na pecora cotta. / E tutta 'nturniata d'ova fritte; e li cannele fossero sausicchie/ e l'acqua santa fosse vino forte". La presenza di delicati vezzeggiativi ben si inscrive in un clima privo delle tinte classiche dell'"horror" e delinea una sorta di "viatico" per il Viaggio nell'Aldilà.
Particolarmente suggestivo il testo di Lu cardillo, in cui uno spasimante affida i suoi messaggi d’amore per la sua amata ad un uccellino, appunto il cardillo. Esso deve volare fino alla donna, contemplarla e controllare le sue azioni: deve essere premuroso con lei se riposa o se è affacciata al balcone; ma, se esso dovesse sorprenderla a fare l’amore con qualcun altro, ebbene deve sfoderare il suo coltello e ucciderla, per poi portargli il suo sangue.
Altrettanto affascinante è il rapporto tra la pizzica (danza del Salento) e la donna tarantata. Quest’ultima era considerata vittima del morso di un animale (la “tarantola”), per cui cadeva in uno stato di offuscamento della coscienza secondo modalità non dissimili dall'epilessia o dall'isteria. Fu il grande antropologo Ernesto de Martino, che nel suo fondamentale saggio La terra del rimorso (1959) affermò decisamente che la "tarantola" era un animale simbolico che, con il suo “morso”, portava alla luce conflitti psichici individuali che rimordono nell'oscurità dell'inconscio. Nella canzone “Nun era da vinì”, eseguita magistralmente in chiusura, travagliato è l’innamorato, a cui giungono i sospiri della donna, di cui non vorrebbe innamorarsi. Ma in realtà egli prova un desiderio profondo dell’amata, ricordando che ella è stata misteriosamente “pizzicata”. L’esecuzione del mix musica-danza dà vita alla “guarigione” della tarantata, che, durante il ballo, può vivere attimi di liberazione dalla repressione secolare del suo esser donna.
Raffaele Di Matteo
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